Foto ® Claudia Gori per Oltre Tevere
Diario di bordo
Pieve S. Stefano (AR)
06 Settembre 2020
2ª Tappa Oltre Tevere:
Valsavignone – Pieve S.Stefano, 11 Km
Luca ordina una bottiglia di vino biologico davvero bizzarra. In bocca pare uva affumicata, quasi del carbone rotolato nello zucchero. A me piace moltissimo, al suo compare Luigi un po’ meno. Non ne è convinto. Sono l’assessore del comune e il presidente della Pro loco di Pieve Santo Stefano. Ci offrono cena e manco a dirlo, onoriamo la tavola. Mangiamo di gusto, ridiamo, scherziamo.
Non ci vuole molto per capire che sono il prototipo di amministratori che ognuno sognerebbe per sé e che servirebbero per il maledetto paese-Italia che invece rotola sempre più veloce verso il basso.
Per due giorni ci ospiteranno nell’avventura di Oltre Tevere.
Luca soprattutto è di chiacchiera facile. Conosce il territorio a menadito e si spende per la comunità mosso da un puro e semplice entusiasmo, per nulla scontato da incontrare. La mattina ci porta i panini per il pranzo e corre via per il gruppo di escursionismo. C’è da stare dietro ai fuochi per la festa dei lumi. E poi c’è la banda dove suona il rullante. Quando la processione si ferma, cambia giacca e si trasforma in organista – anche se dilettante – ci tiene a precisare più di una volta. E un miliardo di altre cose che ci racconta con il sorriso mentre a me viene il sangue al naso anche soltanto a pensare a tutta quella fatica.
Non può non parlarci del Piccolo Museo del Diario di Pieve Santo Stefano. Tutti lo conosciamo, ma nessuno l’ha mai visitato. Praticamente unico nel suo genere, esiste dal 1984 grazie all’intuizione e la forte volontà del giornalista Saverio Tutino, ideatore dell’archivio diaristico nazionale che già allora incontrò qui un’amministrazione sensibile, intelligente.
Lo visitiamo il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, ed è inutile spenderci parole sopra.
Parlare di bellezza allo stato assoluto non basterebbe.
Ci sono di mezzo, emozione, poesia, commozione.
O perché alla fine dei conti ci sono di mezzo la vita e la morte. Niente di più universale. Semplicemente.
L’intimità anonima di migliaia di sconosciuti accomunati dal privato bisogno o dalla necessità di raccontarsi in forma scritta. O dal piacere del farlo.
Gioie e dolori. Speranze e patimenti.
Non ho mai tenuto un diario. E non ne so il motivo preciso. Credo per pigrizia. Con la solita scusa meschina della mancanza di tempo a fare da paravento. Ma più probabilmente per paura. Il cristallizzare, fermare. Potere magico della parola incisa, per trovarsi costretti al confronto con sé stessi, nel silenzio di una pagina bianca da riempire. E che costa fatica.
Per assurdo dall’inizio del viaggio, la truppa di Oltre Tevere continua a parlare dei miei post come di un Diario di Bordo. Sarà così? Non lo so. La cosa in sé mi spaventa appunto, troppa responsabilità. Ma ora un po’ meno.
Me ne accorgo mentre con Claudia, Andrea e Sarah, usciamo dal museo. A pezzi. Naso che cola e stelline davanti agli occhi. Ognuno perso nei propri pensieri.
Il mio è che alla fine anche se non so il perché preciso del mio scrivere, qualunque cosa sia quello che scrivo, ora mi sento un po’ meno solo. E che forse è proprio quello il senso.
Al ristorante troviamo Luca a tavola con altre persone che finiscono di cenare. Il comune stasera ospita un famoso organista che ha appena tenuto un concerto in Santo Stefano.
– È una super star – dice orgoglioso, ma non siamo proprio ferratissimi
– Lui sì che sa suonare – bisbiglia piegato in avanti – mica come me –
Il gruppo lo aspetta fuori dal ristorante, sua moglie lo chiama.
Ci saluta sorridendo, ma vorrebbe sedersi per raccontarci ancora altri mille progetti che ha in testa.
Estratto dal diario di bordo di Pietro Vertamy © aroundthewalk per Oltre Tevere
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